lunedì 31 dicembre 2012

In ricordo del partigiano Mirto (Carai Giovanni)



Il partigiano Mirto, uno dei partigiani più anziani (scomparse nel 1992 alla soglia dei 92 anni), era uno dei miei contatti per il recupero di informazioni in quanto lui era in contatto con molti esponenti del clero che passavano informazioni utili ai partigiani.
Il partigiano Mirto era era l'intendente del comando di brigata, passo poi al comando di Divisione.
Il suo compito era l'approvvigionamento di armi , viveri ed altri generi alle formazioni partigiane.
Il partigiano Mirto fu tra i primi ad organizzare le brigate partigiane savonesi, salendo sulle montagne di Montenotte e di Finale, fino ad assumersi le responsabilità prima citate.
salì sulle montagne subito dopo l'8 Settembre 1943, avendo già assaggiato le piacevolezze del carcere durante il fascismo.

Nel 1935 fu tra i 18 imputati (tra cui Giuseppe Aglietto) condannati per propaganda sovversiva dal tribunale fascista di Savona.

La sua fu una peregrinazione tra le carceri di Finalborgo, Migliarina, Castelfranco, Fossano.
Carai fu un personaggio di riferimento della guerra di liberazione.
Terminata la guerra non volle sfruttare in alcun modo gli onori che gli venivano dalla resistenza.
Si occupò dell'A.N.P.I. ed a lui toccò l'onore di portare il medagliere della sezione savonese.

Partigiano Remo (Giovanni Taramasco)

sabato 29 dicembre 2012

Arrivo al distaccamento Maccari


Arrivai al distaccamento Maccari (IV brigata Garibaldi della divisione Gin Bevilacqua) che operava nell'entroterra savonese).
Nell'inverno la neve cadde abbondantemente.
Pervenni al distaccamento Maccari nei primissimi giorni del Gennaio 1945 dopo un viaggio che mi portò da Millesimo (località Tirasegno) al paesino di Bormida dove mi attendevano i componenti di una famiglia del posto che non conoscevo.
Da questa famiglia avrei avuto assistenza ed istruzioni per raggiungere le formazioni partigiane.
La strada provinciale che da Millesimo portava a Bormida era tenuta sgombra dalla neve dai cantonieri locali, ma era troppo pericolosa perchè attraversata da reparti tedeschi e fascisti dei battaglioni San Marco, Brigate Nere o Guardie Nazionali Repubblichine (G.N.R.).

Mio padre mi prestò un aiuto fondamentale ed inegualiabile.

Costruì prima della partenza da Millesimo delle racchette di legno necessarie per non sprofondare nella neve.
Con queste racchette riuscimmo faticosamente a compiere il tragitto via bosco, riducendo di molto il pericolo di imbattersi in truppe nazi fasciste.

Mio padre all'epoca aveva 50 anni e fu un esempio prezioso nella mia vita.

Arrivati a Bormida la famiglia ci accolse fraternamente, ci diede vitto e alloggio, ci ospitò per la notte.
Al mattino presto mio padre riprese la via del ritorno, a me toccò invece un'altra camminata sui monti ricoperti di neve, in compagnia del primogenito di questa cara famiglia che mi portò in una cascina in località Cravezza dove rimasi opsite alcuni giorni da generosi contadini che mi trattarono come un figlio.

( non si dirà mai con quale dedizione ed amore i contadini aiutarono, nascosero, curarono i partigiani delle località di montagna).

Arrivò poi a prelevarmi l mio amico partigiano Castagno (Arnaldo Rosati).
Salutati e ringraziati quei generosi contadini prendemmo insieme la via del distaccamento.
Durante il nostro cammino ci trovammo ad un punto in cui la neve arrivava al bacino e muoversi divenne veramente difficoltoso.
Arrivammo comunque al distaccamento Maccari prima di notte.
La mia curiosità era forte, fui accolto con simpatia da tutti e dal comandante Vladimiro (Vincenzo Bellini), chiamato dai nemici "quello della piuma" , perchè portava sempre un cappello da alpino con la classica piuma.
Una delle prime formalità da svolgere per un neo partigiano era la scelta del nome di battaglia.
Logicamente per evitare confusioni doveva essere un nome diverso dagli  altri componenti il distaccamento.
Alla fine la scelta cadde su "REMO".

Era ora di cena. 
la cucina era un tavolo con una protezione in lamiera in mezzo al bosco.
Sorpresa: quella sera il tavoro era ricoperto di pezzi di carne di mucca e polenta
Il cuciniere era un partigiano nei nostri confronti già avanti con gli anni, intorno ai 50 (partigiano Veleno- il nome era tutto un programma) mi spiegò che si trattava di un avvenimento straordinario e che ben difficilmente si sarebbe ripetuto.
Gustai la prima cena partigiana.
Chiesi poi a castagno notizie del mio amico Stefano Peluffo e la risposta fu dolorosa, perchè mi disse che venne catturato e fucilato con altri 4 patrioti il primo Novembre 1944.

Partigiano Remo (Taramasco Giovanni)

venerdì 28 dicembre 2012

Poesia di Piero Calamandrei :Il Monumento






Lo Avrai 
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire. 
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d'un macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA.

Attività di propaganda antifascista con il Fronte della gioventù



Prima di passare nelle formazioni partigiane feci da civile Attività di propaganda antifascista con il Fronte della gioventù.
Il mio contatto era Stefano Peluffo (ora eroe della resistenza - medaglia di argento al valor militare- fucilato nel 1944 nella fortezza Priamar).

Con Stefano Peluffo dovevamo svolgere un lavoro di propaganda e di diffusione di volantini antifascisti.

Le squadre addette a questi compiti erano parecchie e per motivi di sicurezza le une non conoscevano le altre.

Faccio un esempio: ore 20: 10 portoni, 15 scale, 150 volantini, tempo a disposizione 20 minuti.
Finito il lavoro recarsi in un portone stabilito ) in un punto definito del portone lasciare con una matita una piccola scritta.
ore 20,30 :il contatto (nel mio caso Stefano Peluffo) passa nel portone se vede la scritta significava che tutto era andato bene, altrimenti dava l'allarme.

Il mio lavoro l'ho sempre svolto con precisione e, dico la verità, con un po di batticuore.

Un altro lancio un po più più complicato mi capitò una sera in zona Santuario.
In giornata mi recai sul posto in bicicletta per nascondere i volantini.
Bisognava essere molto veloci e guardinghi. Essere scoperti significava essere fucilati.

All'ora stabilita inizia a lasciare i volantini vicino alle porte delle case.

Ad un certo punto in lontananza apparvero due carabinieri che venivano nella mia direzione.

Fortunatamente non mi videro, tornai rapidamente indietro, recuperai i volantini già deposti, mi nascosi ed aspettai che i carabinieri transitassero e ricomincia la deposizione dei volantini.

Anche questa volta era andata bene.

Il giorno dopo mi recai al lavoro e qui un collega, con circospezione mi fece vedere uno di volantini da me lanciati.
Ovviamente non sapeva che ero io l'artefice del lancio.

partigiano Remo (Giovanni Taramasco)




giovedì 27 dicembre 2012

Attività partigiana nel SIM (Servizio informazioni militari)



Nel distaccamento Maccari fuo assegnato al servizio SIM (servizio informazioni militari).
Il compito era di essere sempre in movimento in contatto con militari nemici che facevano il doppio gioco, per motivi diversi.
Erano personaggi che sinceramente, a parte alcuni realmente antifascisti, non mi erano molto graditi.
 Ricordo parecchie accese discussioni avute con molti di loro.

Comunque nel complesso questo compito non mi dispiaceva ed oltretutto, a parte la maggior responsabilità, e forse il maggior pericolo, c'erano anche dei vantaggi e non erano da poco.

Come in tutte le cose di questo mondo c'era il rovescio della medaglia: il pasto di mezzogiorno lo consumavo quasi sempre in trattoria a Vezzi San Giorgio: erano tagliatelle, un po di contorno ed un bicchiere di vino (nulla che vedere con quanto cucinato dal partigiano Veleno al nostro campo).

I pericoli però erano molti, essere in contatto con questi individui comportava sempre il rischio di tradimento.

Il mio armamento consisteva in una vecchia pistola cecoslovacca a tamburo (fortunatamente non ho dovuto sparare un solo colpo) e una bomba a mano del tipo a pigna di fabbricazione tedesca; il tutto nascosto dal vestiario di tipo borghese.

I contatti erano numerosi:
con i nostri appartenenti al SAP (squadra azione patriottica) e con i militari della repubblica sociale.

Ricordo a tale proposito i numerosi incontri che ebbi con un sottufficiale della Guardia di Finanza, il nostro punto di incontro era la pineta sotto il paesino di Tosse vicino a Spotorno.

Occorreva molta prudenza (ed io lo ero), non fidarsi mai, l'imboscata ed il tradimento erano sempre possibili.
Dovevo sempre accertarmi che l'arrivo del sottufficiale fosse solitario- oltretutto il personaggio non mi era molto simpatico.

talvolta le informazioni erano molto utili, come ad esempio quanto raccontato ne : la vittoria del pane bianco.

Incontravo spesso anche il partigiano Mirto (Carai Giovanni).
Era intendente al comando Brigata, successivamente passò al comando di Divisione.

Il suo compito era l'approvvigionamento di armi, viveri, per tutti i partigiani della Divisione GIn Bevilacqua.

Lo incontravo sempre nei paesini vicino a qualche chiesa.
I contatti con il clero erano numerosi.
I preti erano molto utili alla resistenza, le loro conoscenze erano numerose e sapevano il fatto loro.

Carai era il partigiano più anziano. morì nel 1992 prima di compiere 92 anni.
Partigiano Remo (Giovanni Taramasco)


mercoledì 26 dicembre 2012

Partigiano Gin Bevilacqua (Leone)



Nato ad Albisola Superiore (Savona) il 2 agosto 1895
Secondogenito di otto figli, frequenta le scuole elementari fino alla classe terza, poi, nel 1903, si trasferisce con la famiglia a Campochiesa, vicino ad Albenga, dove aiuta il padre nei lavori agricoli.
Nel 1908 torna a Savona e con il fratello maggiore Gian Battista inizia a lavorare come operaio presso la Manovra Astengo nella zona portuale: con i cavalli spostano sotto le navi i vagoni per le operazioni di carico e scarico delle merci. Comincia allora a interessarsi dei problemi dei lavoratori.
Al fronte durante la Prima guerra mondiale, nel corso della quale muore il fratello Gian Battista, dopo il conflitto viene assunto all’Ilva di Savona. Secondo una lettera del Prefetto di Savona scritta durante la detenzione di Bevilacqua (16 aprile 1935), al momento dell'arresto (3 aprile 1934) Bevilacqua «era da circa 15 anni occupato nel locale Stabilimento “Ilva” quale maestro ai forni, con retribuzione, da ultimo, di circa L. 20 giornaliere». Il 6 ottobre 1923 si sposa con Ines Dal Re. Iscrittosi al Partito Socialista, nel 1924 passa al Partito Comunista d’Italia ed è anche eletto Assessore al Comune di Savona durante l’amministrazione social comunista.

Col nome di battaglia di "Leone", fu poi uno dei primi organizzatori della Resistenza nella II Zona ligure. “Gin” Bevilacqua compie un assiduo lavoro per riallacciare i contatti con i partigiani sbandati, infondendo loro coraggio e determinazione, riuscendo infine a riunirli nella prima formazione partigiana vera e propria: il Distaccamento “Calcagno”. A capo di questa formazione viene posto G.B. Parodi (Noce), che vuole fermamente Bevilacqua come commissario politico, pur non conoscendolo personalmente, ma essendone stato impressionato nelle manifestazioni savonesi di fine luglio. È proprio Noce, dopo aver visto Bevilacqua in azione, ad assegnargli il nome di battaglia di Leone. Il suo compito è soprattutto quello di muoversi continuamente tra gruppi partigiani, paesi e case di contadini per assicurare collaborazione, aiuti e collegamenti efficaci: il suo carisma e la sua profonda convinzione in ciò che fa lo rendono capace di persuadere e incoraggiare molti compagni e contadini

Numerose sono le testimo nianze di giovani Partigiani che avevano raggiunto i vari distaccamenti solamente per evitare la chiamata alle armi, ma ai quali era bastato un col loquio con “Leone” per capire di aver fatto la scelta giusta. Sempre calmo e sicuro di sé, Gin sapeva trascinare le perso ne, le sapeva convincere, moti vare, entusiasmare. Era rispettato e benvoluto da tutti. Il 29 Novembre del 1944, al Co mando della 5^ Brigata Garibaldi, giunge la notizia di un rastrella mento; “Leone” decide di raggiungere il Distaccamento “Nino Bori” formato da giovani ancora inesperti. Mentre cerca di prendere contatto viene catturato dalle Brigate Nere del tenente Ferrari. Viene immediatamente fucilato, sul Monte Camulera, insieme ad altri cinque patrioti. A Gin Bevilacqua viene intestata la Divisione Garibaldi della 2° Zona Partigiana Ligure.


Vita salva, per poco



Una notte di fine Febbraio del 1945, al distaccamento Maccari, riposavamo tranquillamente sotto le nostre tende.
Venimmo svegliati improvvisamente.

Una nostra staffetta ha segnalato una imponente forza nemica avanzare da parecchie direzioni.

Circa la metà delle nostre forze si era recata in altra località per il recupero di armi e munizioni, vettovaglie varie, frutto di lanci di arerei anglo americani.

Il comandante Vladimiro da rapidi ordini e ci pone i posizione di combattimento.
Una mitragliatrice è posta in posizione di controllo di strade e sentieri.

l'accampamento viene rapidamente smontato, le vettovaglie nascoste nel bosco.

Si avvista una colonna nemica avanzante.

Al momento opportuno si da ordine fuoco.

Sorpresi i nemici si sbandano, ma poi si riorganizzano e rispondono al fuoco con i mortai.
Ad un certo punto la nostra mitragliatrice si inceppa.

Fascisti e tedeschi vengono avanti.

Constatiamo trattarsi di un grosso rastrellamento, gli avversari sono venuti su da tutte le direzioni: calice Ligure, Mallare , Spotorno.

Praticamente hanno circondato tutta la zona occupata dalla IV Brigata della divisione Gin Bevilacqua.

Siamo in trappola.
Ordini rapidissimi: dividersi in gruppi di 3-4 volontari e, armati, nascondersi nel bosco che è abbastanza fitto.

Con altri due volontari mi ficco in un bosco in mezzo ad arbusti di erica foltissimi che ci nascondevano completamente la visuale.

passa un po di tempo in queste condizioni, non si riesce a quantificare, sembra un'eternità, il tempo si è fermato.

Sentiamo dei passi in lontananza.

Voci in tedesco ed in italiano: tedeschi e fascisti accomunati.

Ci ammutoliamo.
I nostri respiri è come se si fossero bloccati.
I passi si avvicinano sempre di più e con apprensione capiamo che sono rivolti verso un sentiero molto vicino a noi.

Il tempo trascorre lentissimamente, stranamente non nutro alcun timore, la mano posata sulla bisaccia piena di bombe a mano.
Non mi sembrano avvenimenti che possano riguardare la vita e la morte della mia persona.

La lunga fila - li sentiamo camminare ma sono nascosti alla nostra vista- sta per finire.

Ora si sente parlare in italiano.

Si fermano a qualche centinaio di metri da noi, bivaccano, è ora di pranzo.

Noi non abbiamo cibo, non ci interessa, ci manca anche l'appetito.

Sentiamo i loro discorsi.

Mi è rimasta ficcata in testa una voce:" sergente dov'è la mia marmellata" (chissà se l'avrà trovata?)

Finito il loro pranzo si allontanano e il silenzio torna nel bosco.

Rimaniamo soli con formiche , mosche, insetti vari e pidocchi.
A distanza di tempo penso: che fortuna che non avessero i cani.

Poi udiamo una voce amica, uno dei nostri partigiani ci chiama a raccolta: il pericolo è passato.
Si fa la conta: tutti presenti meno uno.

Ci raduniamo, in lontananza vediamo la lunga colonna nemica che ritorna alla base di partenza.

Adesso che il pericolo è cessato la paura entra in me ed un tremolio alle mani mi accompagna tutta la notte.

Il mancante all'appello, preso da timore, non visto getta l'arma e cerca di rompere le file nemiche: viene catturato.
Trascorsa la notte all'addiaccio l'accampamento viene poi ricostituito in un'altra parte del bosco.

Le azzeccate disposizioni dei nostri comandanti hanno salvato distaccamenti e partigiani.

partigiano Remo (Giovanni Taramasco)





La vittoria del pane bianco



Era il Marzo 1945.
I partigiani della IV Brigata della divisione GIN Bevilacqua delle formazioni Garibaldine erano arroccati nei loro alloggiamenti situati sui monti che circondano Mallare, Finale Ligure , Spotorno (ttutti in provincia di Savona).
L'inverno stava finendo ma la neve caduta abbondantemente era molto dura a sciogliersi.

I giovani volontari, confortati dai recenti lanci di numerose armi automatiche da parte di aerei anglo americani, che avevano permesso di sostituire gli obsoleti fucili, erano felici.

Si spostavano più volentieri ed avevano lo sguardo fisso sui castagneti della zona.
I germogli tardavano a spuntare.
Si dirà:
Perchè erano tanto interessati a quella meravigliosa trasformazione della natura?

I motivi erano molto pratici ed interessati.
Una volta spuntato il germoglio, le foglie, molto lentamente (per noi) si ingrandivano , e più si ingrandivano più aumentava la sicurezza.
Si restava nascosti ai nostri nemici, i nostri movimenti avvenivano in completa naturalezza.

Ricordo le nostre vecchie tende, in certi casi rattoppate, i nostri letti (si fa per dire), la nostra stufetta a legna che non sempre si accendeva perchè il fumo era visibile anche a grandi distanze.

Ripenso alla nostra cucina, al caro vecchio cuciniere (ormai scomparso)del distaccamento Maccari (nome di battaglia molto significativo: "Veleno"); ai nostri pranzi:

castagne secche e polenta con variazione: polenta e castagne secche!
Le bevande: acqua fresca di ruscello e qualche volta un bicchiere di vino.
La grappa: rigorosamente a disposizione per guardie e pattuglie.

Il pranzo si arricchiva quando il nostro intendente aveva a disposizione un po di riso e, qualche volta, una povera mucca che solitamente era acquistata dai contadini della zona.

Ma pane , no, assolutamente.
Quello era venduto nelle città soltanto con la tessera annonaria.
Nell'organico della formazione esisteva un reparto SIM (servizio informazioni militari).
Io non essendo particolarmente addestrato al combattimento facevo parte di quel reparto.
Le funzioni erano quelle di essere sempre in movimento , raccogliere tutte le informazioni utili, contattare gli appartenenti alla Repubblica Sociale fascista che , fiutato il pericolo per loro della fine della guerra,m si avvicinavano ai partigiani con lo scopo di vuotare il sacco di tutto ciò che era a loro conoscenza.

E così una mattina, in seguito ad una segnalazione, venimmo a sapere che un treno con un carico di grano sarebbe transitato nella zona di Spotorno, guardato a vista da due soldati tedeschi.
Venne approntato un servizio contadino di carri trainati da buoi, sui quali caricare il grano ed una squadra di partigiani con delle armi automatiche.
Tutto organizzato a puntino.

Si fermò il treno, i due soldati tedeschi furono rapidamente uccisi (in guerra purtroppo pietà è morta) e subito il carico di grano, molto abbondante, venne caricato sui carri, destinazione zona partigiana. Che mamma era caduta dal cielo : per tutta la durata della guerra per tutti i partigiani: pane bianco.

Partigiano Remo (Giovanni Taramasco)

martedì 25 dicembre 2012

In ricordo di Stefano Peluffo (Penna) - Medaglia d'argento alla memoria)


Stefano Peluffo (Penna)

Mi piace a distanza di anni ricordare Stefano Peluffo, quel giovanottino pallido e con gli occhiali, sempre in attività, dal coraggio indomito ed anche le tante discussioni avvenute con lui perchè, purtroppo, non era prudente.

Lui ripeteva sempre di stare tranquilli, perchè se lo avessero catturato non avrebbe parlato.

Quella che sembrava una vanteria fu in effetti solo la verità.

Stefano Peluffo fu catturato, torturato, e successivamente fucilato, assieme ad altri patrioti sulla fortezza Priamar il 1 Novembre 1944.

Ma nonostante le violenze subite, non parlò.

Stefano Peluffo faceva attività contro i fascisti senza essere in montagna.

Il contatto a lui collegato-una ragazza- venne catturata.
Lui era sul posto di lavoro e venne immediatamente avvisato.
La staffetta che doveva portarlo in montagna era pronta nella creuza (stradina) ad aspettarlo.

Per troppo amore- probabilmente per salutare la mamma malata- non seppe resistere al desiderio di passare da casa, certo che il suo contatto non avrebbe parlato.

La staffetta nella creuza attese invano.

La sua ultima lettera reca una struggente raccomandazione ai suoi fratelli:

fate che la mamma non abbia troppo a soffrire, consolatela.
Il triste destino dell'eroe Stefano Peluffo era compiuto.
A suo fratello , Don Gino Peluffo , parroco ad Albisola voglio dire:
Sia orgoglioso di suo fratello Stefano, se esiste veramente un paradiso, come lei certamente crederà, 
suo fratello Stefano avrà un posto d'onore nel Paradiso degli eroi.

partigiano Remo (Giovanni Taramasco)

Morte di una delatrice fascista




La quarta Brigata della divisione partigiana Gin Bevilacqua era composta da tre distaccamenti:
Il Calcagno, il Rebagliati, il Maccari.
Erano tutti nomi di antifascisti fucilati.

Il primo distaccamento il Calcagno era quello meglio organizzato, si sarebbe potuto dire il fiore all'occhiello della quarta Brigata.
Era dislocato in un'ottima posizione e, grazie al grande spazio che lo circondava era stato possibile  montare una tenda supplementare abbastanza ampia che serviva per la convocazione dei partigiani in caso di necessità.

In questo tendone si riunivano i partigiani, si ascoltavano le loro opinioni, in modo che il comando avesse tutte le informazioni utili a prendere le decisioni.

Un giorno fummo convocati d'urgenza per una riunione straordinaria anche noi del Maccari.

La questione era abbastanza insolita.
Era stata catturata una bella ragazza, nota frequentatrice di bordelli per ufficiali nazisti, nonchè spia al loro servizio.

La condanna, inevitabilmente,  non poteva essere che la morte.

La ragazza chiese allora come ultima grazia di poter parlare con tutti i partigiani presenti.

Ricordo che il tendone del Calcagno era pieno completamente.

Ascoltammo in silenzio le sue ragioni.
Negò naturalmente di essere stata al servizio dei nazisti, ma solo una frequentatrice abituale.
Si offrì , per salvarsi, come prostituta per tutti i partigiani.

Che tristezza!
Cosa non si farebbe per salvare la vita!

Naturalmente la sua proposta non ebbe seguito e venne fucilata poco dopo.
La riunione finì e non ricordo nessun lazzo o derisione da parte dei presenti.
Sono passati tanti anni ed il ricordo ancora fa male.

Spero che veramente fosse stata una spia al servizio dei nazisti e non soltanto una ragazza sventata ed imprudente.

Partigiano Remo (Taramasco Giovanni)



Spie nella guerra partigiana di liberazione


Una caratteristica di tutte le guerre, anche quelle di liberazione o civili che dir si voglia, sono le spie (vedere anche morte di una delatrice fascista)
Anche nella prima guerra mondiale c'erano le spie ed una molto famosa era Mata Hari.
Le spie sono di tutte le bande, di tutti i colori, certo non sono esseri da portare come esempio.

Nelle formazioni partigiane si sono infiltrati degli uomini che poi si è scoperto, purtroppo quasi sempre con gravi danne e perdite di preziose vite umane, che erano alleati con il nemico.

Era quindi necessario scovare - nelle formazioni avversarie- individui disposti a fare il doppio gioco.

La mia attività come partigiano era proprio quella di mantenere i contatti per recuperare informazioni da fascisti delatori.

All'inizio del 1945 i sintomi della sconfitta totale dei nazi fascisti erano sempre più evidenti e quindi era più facile trovare nelle file avverse persone disposte, pur di salvarsi la vita, a fornire preziose informazioni di cui erano a conoscenza.

Una volta mi trovavo al mio distaccamento, il Maccari, ed era stata catturata una Brigata Nera.
Dopo un sommario e controverso interrogatorio, vivamente contestato, stava per essere mandato al distaccamento Stringhini  di triste memoria, per essere fucilato.

All'improvviso si avverte una strana agitazione.
E' arrivato al distaccamento un partigiano con in mano un ordine scritto da consegnare al comandante:

Nuove disposizioni, non procedere assolutamente con l'esecuzione. 

E' stato accertato che la Brigata Nera era un prezioso informatore ed andava subito liberato.

Il destino gli era stato favorevole.
L'aveva scampata veramente bella.

partigiano Remo (Giovanni Taramasco)


Un episodio negativo di vita partigiana

Partigiano Remo



Siamo all'inizio del 1945.
Sono un partigiano (partigiano Remo) della IV brigata , divisione Gin Bevilacqua, distaccamento Maccari.
Qui faccio parte del SIM (servizio informazioni militari).

In pratica mantengo i contatti con fascisti pentiti, militari e fascisti che fanno il doppio gioco per salvare la pelle qualora la guerra avesse preso un esito non favorevole per loro.

Mi trovo nel bosco nelle vicinanze del distaccamento.

Una pattuglia partigiana accompagna per essere fucilato un uomo, accusato di essere una spia nazi-fascista.

Un partigiano del Maccari si avvicina e sferra un violentissimo pugno alla mascella della spia indifesa.

Immediatamente - era con  me il partigiano Castagno- fermo l'esecutore di un gesto così incivile e gli chiedo spiegazioni.

Mi si risponde, a giustificazione dell'atto, che i genitori del partigiano avevano subito molte sevizie dai fascisti.

Non sono per niente soddisfatto della risposta.

A mio giudizio i partigiani avrebbero dovuto essere totalmente diversi dai loro avversari ed in senso positivo, altrimenti che valore aveva la nostra lotta di liberazione? 

Con Castagno , che era d'accordo con il mio pensiero, ci recammo al comando per denunciare il fatto.

Dai comandanti riceviamo comprensione assoluta.

Le disposizioni sono:
Nessun prigioniero deve subire molestie di alcun tipo.

Sono rimasto totalmente soddisfatto delle decisioni adottate nei confronti di atti da condannare come estranei al Movimento di Liberazione nazionale

Partigiano Remo (Giovanni Taramasco)


lunedì 24 dicembre 2012

IL distaccamento Stringhini

Il partigiano Remo era stato da poco assegnato al distaccamento Maccari che nel Gennaio 1945 era dislocato nella località Rocca dei Corvi, una zona boschiva sulle alture di Segno (entroterra di Savona), ricca di pini marittimi.

Remo aveva l'incarico del SIM (Sevizio Informazioni Militari).
Doveva spostarsi continuamente da un paese all'altro, da una valle all'altra, alla ricerca di informazioni e di contatti utili per tutte le formazioni partigiane.
I suoi compagni di ventura accompagnandolo nelle sue prime missioni, nella discesa dai monti verso il mare, lo avevano informato che era necessario attraversare la zona del Distaccamento Stringhini.

Stringhini era stato un sottuficiale sanguinario della famigerata "San Marco" , impegnata al rastrellamento ed alla distruzione dei partigiani.

Un bel giorno però fu catturato  a Vado Ligure dai partigiani ed immediatamente trasferito al comando.
Dopo essere stato sottoposto ad un veloce interrogatorio per carpirgli notizie sulla parte avversaria ed aver fornito abbondanti informazioni nel tentativo di salvare la pelle, sottolineando le sue eccellenti capacità militari, aveva proposto non solo di restare con i partigiani ma addirittura di essere messo a capo di un distaccamento partigiano.
Proposta veramente inaudita ed assurda.
Verrà comunque accontentato.

Considerata la sua ferocia fu condannato a morte , fucilato e messo a comandare un lugubre distaccamento formato da altri nemici catturati e poi fucilati, tutti sepolti in una parte di bosco chiamata da allora. Distaccamento Stringhini.

Quando di un nemico si diceva che era stato assegnato al distaccamento Stringhini, significava che era stato condannato a morte e che per lui era finita.

Una canzona partigiana diceva: Pietà è morta.
Assurdità della guerra: se mi prendi mi ammazzi, allora se posso , prima ammazzo te.

Adesso che sono passati tanti anni, sessantacinue, la pietà affiora e con essa i dubbi: forse non tutti erano meritevoli di morte.
Ma quando nella mente si fanno vivi i ricordi dei partigiani torturati, quando ricompaiono Marzabotto, Boves, le fosse Ardeatine allora tutto diventa più chiaro:
Gli errori sono il prezzo da pagare, è inevitabile.




domenica 23 dicembre 2012

Una sconfitta





Facile parlare di vittoria, più difficile parlare di sconfitta.
la notte del 3 Febbraio 1945, sembrava una notte come tutte le altre.
Invece no.
Una violentissima sparatoria ci fece balzare tutti dai nostri letti (si fa per dire).

Gli spari erano relativamente vicini.
Molto presto apprendemmo che il distaccamento a noi vicino, il Rebagliati, aveva subito un violentissimo attacco e le cose erano molto gravi.
Le notizie giunte erano terribili.
Il distaccamento Rebagliati era stato decimato:
UNDICI erano i morti, chi era riuscito a fuggire al nemici aveva subito il congelamento dei piedi per il lungo periodo di permanenza nella neve.

Tutte le tende e le apparecchiature del distaccamento distrutte.
Come era potuto avvenire tutto ciò?

Nel distaccamento era stato incorporato un ex sergente della divisione fascista San Marco , proveniente dalla Germania , dopo un periodo di addestramento.

Catturato a  vado Ligure da una pattuglia di partigiani era stato condotto davanti ai comandanti partigiani.
Nell'interrogatorio era stato abilissimo nel convincerli del suo antifascismo e nella sua volontà di restare e di operare con i partigiani.

Così fece parte della formazione.
Ottimo infermiere, fu utilissimo nella cura dei partigiani feriti.
Si guadagnò la fiducia di tutti, girò per monti e valli, svolse ottimamente il suo compito.

Per un po tutto funzionò perfettamente.

Il lavoro era notevole, capitava che qualche sera fosse impossibilitato al rientro.
La notte tra il 2 ed il 3 Febbraio non rientrò.

La cosa sembrava normalissima.

Questo turpe individuo - mi rifiuto di chiamarlo uomo- (Salsi Armando di Reggio Emilia- nome di battaglia Tarzan) si recò a calice Ligure dove aveva mantenuto i contatti con il ferocissimo reparto fascista detto "controbanda", specializzato nella lotta antipartigiana istituito dal generale Farina.
Quella notte accompagnò i marò repubblichini.
facile per lui che conosceva sentieri e posti di guardia.

I partigiani non ebbero scampo.
Fu una strage.
Vennero martoriati a colpi di baionetta:

BARSOTTI, BENOLI, BUSSOLATI, DEL MONTE, ISNARDI, NOCETO, RISPOSI, SIRI , STELLA, VARISCO, BIAGI.

Gli altri distaccamenti, il Maccari , dove ero io ed il Calcagno, che lui conosceva furono costretti a 
a trasferirsi altrove.
Purtroppo il tristo figuro venne catturato  solo dopo la guerra,  nel 1946,
Condannato dal tribunale di Savona alla pena di morte , riuscì in appello, in un'altra città ad avere la pena commutata in 30 anni di reclusione.
Seguì l'amnistia Togliatti ed uscì dal carcere.
Fu abile nel far perdere le sue tracce.
GIUSTIZIA NON FU FATTA.

Partigiano Remo (Giovanni Taramasco)

Un avversario dignitoso, onore al merito


Ero da poco arrivato al distaccamento partigiano Maccari della IV Brigata della divisione Garibaldina Gin Bevilacqua.
Mi aveva accompagnato il mio amico partigiano Castagno prelevandomi dal casolare di una generosa famiglia contadina, in località Cravarezza, che mi aveva ospitato alcuni giorni.
Il distaccamento in quel periodo era dislocato sulla cima del monte Rocca dei Corvi.
Ricordo che arrivai in tempo di Vacche Grasse, nel senso letterale della parola.
Una mucca era stata macellata, cotta, tagliata a pezzi e posta sul tavolone della cucina a disposizione di tutti i volontari.
Per la magra alimentazione di ordinaria amministrazione era un giorno veramente fortunato.
Venni a sapere che nel distaccamento si trovavano prigionieri numerosi marò della divisione  fascista San Marco.
Tutti i marò prigionieri presenti nel distaccamento Maccari erano stati catturati da una pattuglia partigiana che ben armata si era mossa in perlustrazione per contrastare un reparto San Marco in fase di rallestramento antiguerriglia.
I prigionieri presenti erano:
un capitano, undici marò, un soldato tedesco gravemente ferito nello scontro e subito giustiziato.
Trascorso un po di tempo, una mattina seduto su una sedia ho visto il capitano dei marò, un giovane uomo, mi pare di ricordare ancora il suo cognome: Gelmi, ingegnere di Torino.
Mi sono avvicinato ed ho lungamente conversato con lui.
Era disponibile al dialogo.
Abbiamo parlato di molte cose: fascismo, antifascismo, onore alla bandiera, fedeltà ai patti con l'alleato, totalitarismo, democrazia e tanti altri argomenti che ora a distanza di tanti anni non ricordo.

Naturalmente le nostre idee erano di segno totalmente opposto.

Non sapevo che da li a poco l'avrebbero fucilato.
Quando arrivarono due partigiani armati compresi.
Erano presenti alla conversazione altri partigiani.
Il suo comportamento fu irreprensibile.
Le sue parole furono (le ricordo esattamente):
" Addio ragazzi, vogliate un po di bene a questa povera Italia"

Un nemico? Certo un nemico.

Non si poteva, come vedremo in seguito di lasciarlo libero.
Il pericolo era mortale.
Comunque un avversario dignitoso: onore al merito.

Degli altri undici marò prigionieri due si salvarono.


Avrebbero potuto essere tutti salvi.

Quando furono interrogati fu chiesto loro:
"Volete diventare partigiani o volete tornare a casa?"
Come potevano arrivare a casa?
Erano tutti del centro Italia o del sud.

Due dissero che volevano diventare partigiani e si salvarono. Gli atri nove dissero che volevano tornare a casa e firmarono così la loro condanna a morte. Come ci si poteva fidare!


I due marò superstiti che avevano scelto di restare con i garibaldini diventarono ottimi partigiani.

Furono rincuorati dal comandante Vladimiro (Bellini, di Mallare)
Un uomo di coraggio e di umanità straordinaria che , purtroppo da tempo ci ha lasciato.

Mi fu raccontato che in più di un'occasione , a contatto con i nemici, incitò i partigiani all'attacco come se fossero un reggimento.

In realtà si trattava di poco volontari armati modestamente, ma il tono e la sua voce avevano un effetto deleterio sugli avversari che quasi intimoriti si davano alla fuga.
A tale proposito si racconta che Giuseppe Garibaldi l'eroe dei due mondi ordinasse ai suoi soldati di essere sempre in movimento , di apparire sempre nei luoghi più disparati per dare l'impressione di essere ben più numerosi di quanti fossero in realtà.

Il comandante Vladimiro forse inconsciamente , anche in questa occasione era un perfetto garibaldino.


Così era la guerra partigiana:

"mordi e fuggi" ed anche un po d spavalderia temeraria che serviva a colmare i vuoti dati dai pochi mezzi, dalle scarse armi e munizioni, dal vitto insufficiente.
Ma il cuore dei volontari  era indomito e l'amore per i proprio paese grande.

Gli altri marò seguirono la sorte del capitano.

Era impossibile lasciarli liberi perchè sarebbero tornati ai loro reparti a riferire tutte le notizie acquisite.
Negli accampamenti partigiani di montagna esistevano solo povere tende circondate dalla neve, non esistevano carceri. Non esisteva alcuna alternativa.
Che termine bruttissimo : O con noi o contro di noi.

Partigiano Remo